Juinijui, Perù, Regione di San Martin, Amazzonia, 1989: Wendy ha 3 anni, vive con la sua famiglia nella cittadina al centro della coltivazione della coca e del narcotraffico, dilaniata dalla lotta terroristica che divide il suo Paese, tra le fazioni dei Tupac Amaru e Sendero Luminoso. Un gruppo di terroristi armati irrompe nella sua casa e minacciando di uccidere lei, la sorella e la madre preleva il padre che si offre come ostaggio per risparmiare la vita alla sua famiglia. “Il mio ricordo è vivo, come se tutto fosse successo ieri. Le urla, le minacce, poi il silenzio e mio padre che viene portato via”. Il cadavere viene ritrovato il giorno dopo, a poche centinaia di metri da casa. Il padre di Wendy lavorava in una banca locale ed era implicato nel riciclaggio del denaro derivato dal narcotraffico. La sua storia è molto simile a quella di tante famiglie della zona, costrette alla coltivazione della coca tra gli anni ’80 e ‘90. Una storia finita bene.
Cacao al posto di coca? No, grazie
Abbiamo incontrato alcune di queste famiglie, insieme a due colleghe di Fairtrade Italia e a un piccolo gruppo di operatori della comunicazione, in occasione di un press tour finanziato dal progetto TradeFair LiveFair nel giugno scorso, tra gli ex coltivatori di coca della regione amazzonica. Un’esperienza partita nel 1998, quando un Programma delle Nazioni Unite ha messo fine alla coltivazione della coca e ha offerto ai contadini, in cambio, piante di cacao importate dall’Ecuador. “In quel momento gli aerei americani hanno irrorato le coltivazioni con i pesticidi per estirpare la coltura della coca. I contadini sono rimasti con un pugno di mosche e non sapevano cosa farsene delle piante di cacao che diventano produttive solo dopo 5 anni. Nel frattempo cosa avrebbero mangiato?”. Gonzalo Rios era un giovane professore universitario di economia all’Università di San Martin quando gli propongono l’incarico: convincere gli ex coltivatori di coca ad associarsi e a convertire le produzioni al cacao: “Sono andato di comunità in comunità e alla fine siamo partiti con un piccolo gruppo di 27, il primo nucleo di Acopagro”. Da allora ha guidato la cooperativa, investendo nell’agricoltura biologica e nel Fairtrade e creando un esempio virtuoso in tutta l’America Latina.
Non solo cacao
Il primo presidente della cooperativa è stato Gilberto Rodriguez, anche lui ex coltivatore di coca: nelle sue parole ancora il vivido ricordo del clima di paura, di violenza e di chiusura che si respirava ovunque nella regione. È anche merito suo se la cooperativa oggi conta più di 2100 soci in tutta la regione amazzonica. Supportati da un’equipe tecnica di agronomi che si muove tra 40 comunità di piccoli produttori, Acopagro fornisce al mercato estero il 35% del cacao del Perù, uno dei principali paesi produttori al mondo. Il 30% di questo cacao finisce anche in Italia dove viene trasformato e distribuito in alcune catene di supermercati del nostro paese con il marchio Fairtrade. Il Premio Fairtrade (la somma aggiuntiva riconosciuta ai produttori oltre al Prezzo minimo) serve a pagare gli stipendi degli agronomi che si muovono in motocicletta tra strade impervie per raggiungere i piccoli villaggi dei contadini. Il loro lavoro non è solo tecnico ma anche sociale: incoraggiano i produttori, li aiutano a prendere coscienza di quello che fanno, si occupano del loro benessere fisico e psicologico: “Se il contadino e la sua famiglia stanno bene, anche il cacao ne acquista in qualità”, ci racconta Oscar Lopez, uno dei tecnici che ogni giorno visita i produttori per suggerire nuovi rimedi per le malattie delle piante, ma anche per parlare con loro: “Mi raccontano le loro preoccupazioni, i loro problemi familiari, le loro difficoltà. E cerchiamo di trovare delle soluzioni”. Accanto al lavoro dei tecnici c’è quello di Wendy che da qualche anno, tornata sui luoghi in cui il padre è stato ucciso, ha incontrato la cooperativa che è diventata il suo scopo di lavoro e di vita: “So quello che queste persone hanno passato: parlo della mia esperienza e li incoraggio a lottare sempre, a non perdersi d’animo”. Ora Wendy è responsabile dei progetti sociali di Acopagro e si occupa di formazione, di iniziative nelle scuole, di prevenzione sanitaria e di sostenere la dignità delle donne in una società prevalentemente maschilista. Anche queste attività sono sovvenzionate dal Premio Fairtrade che serve inoltre a comprare le tettoie, sotto le quali si essiccano i chicchi di cacao dopo la raccolta e la fermentazione, e mille interventi tecnici.
L’invasione delle colture estensive
Con lei visitiamo la scuola di Ledoy, una delle comunità. Gli studenti ci accolgono a braccia aperte: ci stanno aspettando fuori dall’ingresso per darci il benvenuto e farci visitare il plesso che ospita le classi secondarie. In mezzo a coltivazioni estensive di riso che stanno occupando tutto il terreno disponibile e che causano anche la deforestazione, gli studenti imparano a rispettare la terra, a coltivare la biodiversità, anche se queste attività non sono gradite ai vicini risicoltori: “Uno di loro lo scorso anno ha bruciato il terreno dove avevamo piantato degli alberi" – racconta il preside Victor David Graciano Ponte. Ora li abbiamo ripiantati ma ci vorrà molto tempo perché crescano come prima”. Durante un intervento in una classe, una studentessa mi chiede che cosa pensa Fairtrade dell’uso dei pesticidi. Qui le persone si sentono intossicate dal loro utilizzo che serve nella coltivazione del riso. Spiego che Fairtrade si oppone al loro uso intensivo e che esiste una lunga lista di sostanze proibite e mi chiedo cosa potremmo fare per venire incontro al bisogno di questa ragazza che chiede aria più pulita e che denuncia l’inquinamento che queste colture portano anche ai terreni destinati al cacao.
Custodi dell’ambiente
L’impegno della cooperativa per preservare l’ambiente è notevole: creare barriere protettive naturali per scongiurare il rischio di contaminazioni, combattere i parassiti e le malattie con metodi biologici non invasivi, continuamente nutrire e sanificare il terreno e riforestare: “Abbiamo piantato due milioni di alberi negli ultimi anni, alternando alle coltivazioni di cacao quelle di altre piante. Questo ci ha consentito di raggiungere un equilibrio ambientale che cerchiamo di preservare” racconta Bruno Valderrama, responsabile della certificazione della cooperativa. Per il suo impegno ambientale, Acopagro ha ricevuto in affidamento dal governo peruviano anche un territorio protetto nella foresta amazzonica, nelle zone più interne e raggiungibili solo via acqua. Il cacao qui ha curato tante ferite portate da vent’anni di coltivazione della coca. La certificazione Fairtrade ha dato ad Acopagro altri strumenti per affrontare le sfide di un Paese dove non esiste quasi alcuna forma di tutela sociale. Nella regione di San Martin è la cooperativa, con gli strumenti del Premio, che provvede ai bisogni primari, sostiene l’educazione dei ragazzi, da un supporto anche psicologico ai contadini dispersi in piccoli villaggi dove la corrente elettrica è arrivata da soli cinque anni e dove non esiste un sistema idrico. Con passione e impegno, Acopagro continua a incoraggiare i suoi soci e a credere nella loro capacità di diventare protagonisti del loro futuro.