“Ujamaa” in lingua swahili significa “famiglia estesa” ed è la parola usata per descrivere il concetto, il programma che Julius Nyerere, presidente della Tanzania dal 1964 – anno di indipendenza dal Regno Unto – al 1985, ha cercato di mettere in atto nel suo paese.
Il socialismo rurale protagonista al G7 Agricoltura
“Ujamaa” è un concetto basato sulla necessità di dar vita a una forma di sviluppo africano che si fonda sulla comunità. Uno sviluppo dove il possesso comune e condiviso delle risorse e la loro distribuzione equa sono le priorità. Questo sistema, oggi, è diventato un modello ripreso e celebrato persino nel corso di uno dei vertici più globalizzati al mondo, uno dei simboli dell’accentramento della ricchezza e delle risorse stesse: il G7.
Nel corso dell’ultima riunione – che si è tenuta a Bergamo dal 13 al 15 ottobre – dei sette ministri dell’Agricoltura in rappresentanza delle sette potenze più industrializzate del Pianeta, infatti, è stato dato ampio spazio e risalto proprio all’agricoltura familiare e alla Tanzania come esempio di sviluppo di successo, in grado di valorizzare le proprie risorse umane e naturali.
La dichiarazione di Bergamo
Come risultato finale, il G7 Agricoltura ha adottato una dichiarazione in cui si promette di portare fuori dalla fame 500 degli 815 milioni di uomini, donne e bambini che ancora oggi vanno a dormire senza aver mangiato a sufficienza. Per farlo, nella dichiarazione c’è la necessità di aumentare “la cooperazione agricola, lo sviluppo delle partnership nella ricerca, del trasferimento di conoscenza e tecnologia” proprio in Africa “dove il 20 per cento della popolazione soffre di povertà alimentare”.
Ecco perché il ministro italiano e presidente di turno del G7 Agricoltura Maurizio Martina ha parlato di “un G7 aperto” che ha visto la partecipazione “di giovani, organizzazioni non governative, agricoltori, istituzioni, associazioni che hanno dato spunti interessanti per il lavoro di confronto con gli altri ministri”. E conclude rilanciando “la sfida per garantire davvero il diritto al cibo di ogni essere umano a qualunque latitudine”.
Chi è Elinuru Palangyo, madre e agricoltrice
Tra i protagonisti, Elinuru Palangyo ha lasciato il segno. Palangyo è un’agricoltrice di Arusha, nel nord della Tanzania, con più di dieci anni di esperienza nel campo del biologico. È madre di cinque figli. In pieno stile “ujamaa”, non possiede un terreno di sua proprietà, ma un campo di famiglia che produce diverse fonti di reddito, come una piccola attività di packaging e vendita di cibo biologico, soprattutto cassava e patate. Palangyo ha voluto lanciare ai potenti un messaggio denso di umiltà: “Non chiediamo ai grandi del mondo grossi investimenti, ma investimenti mirati per le nostre necessità”.
Già oggi, dunque, c’è chi si muove in questo senso. Il famoso conduttore televisivo Patrizio Roversi, volto del programma Linea verde, è stato testimone volontario di come tutto ciò si stia verificando in Tanzania, anche grazie al lavoro di protagonisti del terzo settore. “È un modello da far conoscere al mondo”, afferma Roversi sul sito Cefa c’è e fa che ospita il diario del viaggio compiuto da Roversi a seguito dell’ong bolognese Cefa che da 45 anni lavora per sconfiggere fame e povertà aiutando le comunità più povere a raggiungere l’autosufficienza alimentare.
Da Nyerere al Cefa
“Tutto questo ha una storia, è iniziato da tempo – racconta Roversi a Agronotizie –, quando i primi cooperanti di Cefa sono arrivati in Tanzania. Alla base c’è stata una mediazione politica […], con il presidente della Tanzania, Nyerere, oltre a uno stretto rapporto con la Chiesa cattolica locale”.
Chi l’avrebbe detto, ai tempi di No logo, che la cooperazione internazionale e il socialismo agricolo, la diplomazia e carità cristiana avrebbero fatto irruzione nell’agenda politica di uno dei vertici che ha fatto del capitalismo e dello sfruttamento delle risorse un marchio di fabbrica. Eppure la conoscenza e la consapevolezza hanno fatto sì che, a distanza di anni, le teorie di chi allora era tacciato di estremismo, siano diventate soluzioni da perseguire. Almeno sulla carta.
“La mia presenza qui funge da esempio di quanto sia importante far sentire la voce dei piccoli coltivatori. Come donna e come agricoltrice di piccola scala – ha concluso Palangyo davanti ai sette ministri – ogni giorno affronto sfide importanti: i cambiamenti climatici, la diffusione di nuove malattie, di nuove specie animali che minacciano i nostri raccolti, alluvioni e siccità”. Per questo Palangyo non ha chiesto altro che infrastrutture “in grado comunque di adattarsi a queste condizioni”. Un messaggio chiaro che deve far capire ai potenti del G7 e non solo che il loro obiettivo non è favorire il profitto per pochi, ma una vita dignitosa per tutti.